l'Astrofilo giugno 2012

PLANETOLOGIA di diametro, sovrastato da elementi via via più leggeri che formano mantello e crosta. Questa differenziazione potrebbe indicare che Vesta è in realtà ciò che resta di uno di quei planetesimi che confluirono a formare i pianeti. Viste le dimensioni non trascura- bili per un planetesimo, c'è anche la possi- bilità che oltre 4 miliardi di anni fa fosse l'embrione di un nascente pianeta, la cui evoluzione è stata però interrotta dalle perturbazioni gravitazionali esercitate dai pianeti giganti. In ogni caso siamo di fronte a un oggetto senza eguali nel nostro si- stema planetario. La stratificazione interna di Vesta lascia supporre che vi sia stata un'epoca in cui una parte rilevante del suo raggio fosse occupata da magma, il che ben si concilie- rebbe con la composizione delle rocce esposte dagli impatti e delle corrispon- denti meteoriti. Il vulcanismo di Vesta si è verosimilmente manifestato nei primi 100 milioni di anni di esistenza del nostro si- stema planetario. Il fatto che oggi non esi- sta alcuna testimonianza macroscopica di quel vulcanismo, come ad esempio cal- dere, coni vulcanici e colate di lava solidi- ficata, porta a credere che negli ultimi 4 miliardi di anni Vesta abbia subito trasfor- mazioni morfologiche così profonde, es- senzialmente causate da impatti aste- roidali, da aver prodotto un completo ri- cambio la superficie. Definire Vesta semplicemente "asteroide" è dunque piuttosto riduttivo alla luce delle ultime scoperte: lungi dall'essere un gigan- tesco masso strutturalmente indifferen- ziato, possiede al contrario un nucleo, un mantello e una crosta superficiale di tipo planetario. Inoltre in superficie sono pre- senti depressioni, corrugamenti, dirupi, col- line e dorsali che raccontano una complessa trasformazione; e non dimentichiamici del gigantesco picco montuoso che dal centro di Rheasilvia si erge per ben 21 km, record di altezza superato solo dal Mons Olympus di Marte, con i suoi 27 km, che però ha una base più grande di Vesta! In conclusione, Vesta sta rivelando una natura molto di- versa da quella tipicamente asteroidale, appare piuttosto come un oggetto a sé stante, l'ultimo dei planetesimi. R iprendendo i terreni di Vesta a diverse lunghezze d’onda, Dawn è in grado di identificare aree con diversa composizione mi- neralogica. Nelle immagini a sini- stra vediamo un esempio di questa attività: in alto ab- biamo una nor- male immagine in bianco e nero, che ritrae un cratere anonimo, quello sopra a sinistra, e una porzione del più grande cratere Aquila. In mezzo vediamo la stessa regione in falsi co- lori, dove ad ogni tonalità corrispon- dono diverse com- posizioni chimi- che, ad esempio le tonalità di blu in- dicano una forte presenza di ferro, mentre quelle di verde pirosseni a base di silicio e os- sigeno, accompa- gnati da calcio, magnesio, ferro e altri elementi in proporzioni varia- bili. L’immagine in basso è la somma delle prime due ed è facile notare co- me nel materiale eiettato durante la formazione del cratere più setten- trionale vi sia ab- bondanza di mi- nerali ferrosi, qua- si certamente pro- venienti dai sub- strati di Vesta. [NASA/ JPL-Caltech/ UCLA/ MPS/ DLR] n

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